Sto componendo in forma di libro gli appunti e gli scritti di due decenni di osservazioni sulla privacy, il nome che diamo oggi ai diritti civili di una volta.
Qui di seguito una presentazione/sinossi:
Saggio in forma diaristica. Storie, ricordi e frammenti di un discorso sulla privacy raccontate con pesante leggerezza. La narrazione è di codice misto e potrebbe avere salti di registro; viene fatto uso delle fiabe e del linguaggio visivo. Se il discorso amoroso: "è oggi di una estrema solitudine", come diceva il professor Roland Barthes, figuriamoci quello sulla privacy, che altro non è che il diritto a stare da soli. Eppure la riservatezza, altro nome che possiamo dare a questo sentimento, è la possibilità di avere un discorso intimo con sé stessi o con le proprie cerchie. Oggi è una sensazione che viene attaccata a livello logico e pratico, dopo l'11 settembre il mondo è stato aggredito da una guerra informativa ricca di orwellismi come la: "guerra al terrore" e nella dottrina della trasparenza radicale, necessaria si dice a proteggerci, sembra rimanere ben poco spazio per la solitudine. La capacità di rivelarsi al mondo in modo selettivo è sospetta. I comportamenti perdono spontaneità, riemerge assieme al concetto di guerra giusta (just war) anche quello di delazione, in un contesto di possibilità tecniche spropositate rispetto alle capacità dell'individuo.
I comportamenti salutari di una comunità che si auto sorveglia possono essere devastanti quando applicati su scala macro. A proposito della trasparenza, tanto auspicabile per gli archivi di chi detiene un potere e per i governanti, non è certo auspicabile per i cittadini, perché chi viene osservato cambia comportamento e perde spontaneità. Insomma: gli individui hanno privacy, i governi hanno segreti. Se non ho niente da nascondere, perché mi sorvegli?
Non ho soluzioni, ma esperienze sì. E anche qualche ricetta pratica. Ho esercitato il diritto alla privacy quando sentivo che fosse dovere del singolo imparare a tutelarsi attraverso l'educazione alla crittografia, ho studiato le leggi quando queste hanno raggiunto almeno in parte il livello dell'innovazione tecnologica e ho praticato il nomadismo ubiquo tra due mondi, quello americano e quello europeo. Ho divulgato perché era giusto farlo. Ho osservato e evidenziato perché quello è il lavoro del documentarista. I frammenti cui mi riferisco parafrasando l'opera del grande semiologo sono quelli, rotti, dell'integrità del me digitale in rete e negli specchi rovesciati delle telecamere che mi sorvegliano nella città dove vivo. Cosa intendiamo quando parliamo di privacy? Quando parliamo di privacy parliamo di intimità.