il cimitero delle illusioni (e altre storie sulla privacy)

Per e-privacy 29e¾ del 2 ottobre 2021 - Dedicato a Cassandra

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audiovideo, 8 minuti

Io ho un mio piccolo posto che mi è molto caro, e forse anche alcun di voi lo conoscono e hanno il proprio. Si chiama: "Il Cimitero delle illusioni", e ogni tanto lo vado a visitare.

Contiene tutte le mie illusioni passate, le cose in cui ho creduto e in cui non credo più perché, se è importante e inevitabile crescere e cambiare, è altrettanto importante avere memoria di ciò in cui si è creduto, per non rifare gli stessi errori, per poter guardare a sé stessi con quella minima distanza che permetta di vedere il cambiamento, per non dimenticare.

Ogni visita è sempre un po' dolorosa, ma è necessaria e mi ricorda di privilegiare la ragione sulla credenza e che per poter ragionare, bisogna basarsi su prove materiali, non solo su idee pazzerelle, che galleggiano in aria.

Ce ne sono tante di illusioni seppellite qui, perché per potergli dire arrivederci, da qualche parte devono pur stare.

All'entrata del cimitero delle illusioni, si trova subito la grande tomba di Jean-Jacques Rousseau, oramai coperta di sterpaglie; ci passo davanti veloce veloce, non mi fermo più lì da quando ho superato i vent'anni. Mi fermo invece sempre, e a volte piango, davanti a quella del mio: "entusiasmo per la tecnologia". Che tempi.

C'è stato un tempo in cui ho imparato a crittografare i messaggi e anche le email. Ricordo di allora espressioni come: "crittografia per le masse". Il punto era che, per difendersi dal "grande fratello", per usare la celebre espressione di Orwell, bisognasse imparare, e insegnare, a tutte e a tutti gli strumenti di difesa. Senza delega. Poi il grande fratello sono diventati tanti piccoli fratelli, e abbiamo scoperto che la gente non voleva imparare, che la convenienza vinceva sulla libertà.

Non lontano, c'è la cappella del: "faccio politica su facebook perché".
Sta in un prato molto ampio, tagliato all'inglese, e ci sono diverse piccole tombe con brevi scritte, tra cui: "Non dobbiamo lasciare questo spazio alla destra", "Lo devo usare per lavoro", "Bisogna nazionalizzarlo perché è una risorsa comune", "Lo critico dall'interno", "Io sono immune alla propaganda". E anche: "Tengo famiglia".

Perché io ora lo so, che Facebook è un'azienda privata ed è particolarmente crudele con le persone indifese, e che starne fuori è un privilegio che non si può permettere chi emigra, chi non ha lavoro, chi non possiede altri strumenti o chi soffre di solitudine. E per questo qui lascio un fiore.

Passo veloce vicino alla statuetta del: "Faccio marketing politico ma non sono una lobby". Sputo su, e poi lascio un fiore appassito sulla tomba del: "capitalismo democratico", proprio di fianco all'obelisco della meritocrazia. E costeggiando il sentiero arrivo a un piccolo laghetto. Sposto col piede una barchetta, che si avvia così verso l'altra sponda del laghetto, sulla vela c'è una scritta, come uno sponsor, che recita: "Siamo tutti sulla stessa barca". Perché ora io lo so, che non è così. Ora lo so che non siamo tutti sulla stessa barca, che c'è chi si può permettere di stare a casa e non lavorare durante una pandemia e chi non se lo può permettere. Che c'è chi come casa ha un castello e chi non ce l'ha. Ora lo so, che il privilegio è ciò che ci permette di pensare che qualcosa non sia un problema, solo perché non ci tocca personalmente.

C'è poi il grande blocco delle ideologie che non considerano la questione di potere. Con la fontanella colorata. È un grande spiazzo chiamato: "Tutte le ideologie hanno un valore", ed è il luogo dedicato alle ideologie che pretendono di essere valide senza tenere conto della questione di potere.

Sta qui l'obelisco del: "libero mercato neoliberista", che porta incisa la frase: "il mercato si regola da solo". Non ci perdo mai troppo tempo, in quella piazza, perché l'ho sempre saputo che esistono ideologie illegittime.

A sinistra, trovo la grande spianata della dottrina della trasparenza radicale. Qui c'è una statua dedicata a Julian Assange, con la scritta: "La crittografia è la forma finale di azione diretta non-violenta". Ci sono molte piante attorno, la pianta dell'opinione pubblica, quella del consenso informato e quella dell'autonomia degli stati-nazione. E il prato è pieno di leaks in fiore.

Ecco il secondo lago. Il lago dei big data, dove sguazzano gli algoritmi neutrali. Nuotano liberamente e un cartello ricorda che tutti possono usare e analizzare i dati contenuti nel grande lago e anche farci nuotare il proprio algoritmo, se si sono ricordati di portarlo con sé, se non hanno scordato le pile.

C'è la catacomba della "neutralità della tecnologia": concetto che non tiene conto della scala, né del potere, né del contesto e non solo di chi la usa e a che scopo. Questa catacomba rischia di diventare molto popolare.

E c'è anche un campo santo molto grande, che pullula di piccole e grandi lapidi, ma non ci voglio entrare oggi, vedo da lontano la lapide del: "Se lavori duro diventerai ricco". Di fianco al cenotafio della meritocrazia. E accellero il passo.

Dall'altra parte del lago ce ne sono alcune grandi e in costruzione, alcune potrebbero diventare imponenti, ma mi ci avventuro solo quando ho i guanti da lavoro. Oggi no. Passo sotto l'arco del privilegio, con la grande scritta: "È sufficiente trattare tutti nello stesso modo per non sbagliare".

Ma oggi voglio visitare il colombare della tecnocrazia, che ha una sezione piena di manuali che pare sia obbligatorio leggere per essere meritevoli. Entrando si sente un profumo intenso e preciso: abilismo con classismo e colonialismo, con una punta di maschilismo e legno di cedro.

Mi ricordo quando la tecnocrazia ha ceduto il passo alla giurisprudenza, il passaggio dalla difesa individuale del singolo, alla difesa comune e collettiva attraverso leggi adeguate: lascio allora un fiore sul cippo che recita: "La legge è uguale per tutti".

Qui vicino si sta costruendo l'ossario della "Social justice", che conterrà le azioni a sciame, la mente alveare, le petizioni online e la decentralizzazione.

Mi stringe sempre il cuore passare davanti al monumento del software libero, che pur di dimensioni considerevoli, è oscurato dal più grande monumento dell'open source, il quale l'oscura come volesse sussumerlo, come del resto è realmente accaduto. Perché ora lo so che non basta che un software sia a sorgente aperta per essere ok, perché non è realistico leggere quattrocentomila righe di codice per sapere se non fa nulla di malevolo, senza contare che viene aggiornato molto spesso, rendendo inutile la lettura precedente all'aggiornamento.

In lontananza scorgo l'inizio delle fosse delle: "parole fatte apposta per confondere": è una sezione particolare del cimitero delle illusioni ed è là che riposa: "Smart", con un sacco di altre parole inglesi, ma non oggi, non oggi. Non voglio neanche entrare nel parco delle: "Guerra giuste".

Alla fine della passeggiata mi siedo sempre a riflettere, sulla panchina davanti alla tomba per me più importante: è molto molto grande, quasi un mausoleo, è la: "Libertà senza l'eguaglianza".
Perché ora io lo so, che non esiste la libertà senza l'eguaglianza. La libertà senza l'uguaglianza è la giungla, e l'eguaglianza senza libertà è la prigione. E ora io lo so. Non funziona una senza l'altra. Prese da sole, sono solo parole.

All'uscita, mi viene sempre a trovare correndo una gatta nera, cieca da un occhio. Perché sa che ho le crocchette in tasca e mi piacciono i gatti.

Provo ad accarezzarla, ma non si lascia mai prendere. È la terza di una cucciolata famosa, e si chiama: "fraternité". Ed è sempre stata ignorata. E so anche che io non sono migliore, e me lo ripeto uscendo.

(Il cestino per i marchi e per le bandiere è subito all'uscita sulla sinistra).

Daniele Salvini per e-privacy, 2 ottobre 2021