Scritto per il Manifesto.
Il documentario Trust Machine (la Macchina della fiducia) di Alex Winter, presentato al Tribeca Film festival 2018 di New York, ha il merito di evidenziare la Block chain rispetto alla critto valuta. Togliere strati alle tecnologie permette di trovare sotto l'esercizio del potere. In questo caso sotto il noto Bitcoin c'è la Blockchain, il registro digitale. Block chain è una struttura dati condivisa e garantita crittograficamente. Uno strumento che in termini politici certifica identità, merci e governance. Usabile in alternativa ai registri centralizzati delle autorità.
Trust Machine documenta diversi esempi, dimostrando che le blockchain non sono tutte uguali, ma con sguardo ottimista e approccio libertarianista di apprezzamento per la trasparenza radicale privilegia la visione dello strumento che può migliorare il mondo alterando le attuali relazioni di potere. La decentralizzazione permette ad esempio di registrare transazioni economiche senza bisogno di una banca, in quanto questa è a tutti gli effetti un registro. Parere condiviso anche dell'attivista hacker britannico Lauri Love di cui il documentario segue in parallelo la recente storia: accusato di aver de-facciato, ossia cambiato a spregio la home page di un sito appartenente al governo americano e di aver copiato dati senza autorizzazione, ci riporta a parlare dell'opprimente Computer Fraud and Abuse Act in vigore negli Usa. Legge draconiana e intimidatoria che ha spinto al suicidio Aaron Swartz, the internet own boy. Se fosse stata concessa l'estradizione, Lauri avrebbe rischiato una pena di 90 anni di carcere per un'azione che in ambito fisico, sarebbe considerata un reato minore. Dalla nascita nel 2015 di Ethereum, blockchain che si presta a un utilizzo generico come lo stipulare contratti, viene oltrepassato l'ambito delle monete elettroniche e diventa uno strumento utilizzabile in tutti gli ambienti connessi. Ad esempio per la verifica dell'utilizzo di risorse o dell'assegnazione di una identità. Con tutte le implicazioni sociali che questo comporta.
Il documentario segue in Kenya la storia di un giovane miner: viene chiamato minatore chi usa un computer per verificare le transazioni e riceve ricompensa in crittovaluta. Unicef usa la blockchain per schedare i profughi, assegnando loro una identità per poterli inserire in una nuova società senza perderli di vista. Il World Food Program in Giordania la usa nei supermercati, controllando la distribuzione dei viveri attraverso la scansione dell'iride. A New York il progetto Brooklyn Microgrid registra il consumo di elettricità verde allo scopo di migliorare la distribuzione ed evitare sprechi. Nel diritto d'autore ci vengono presentati i musicisti Imogen Heap e Dj Gramatik, per i quali l'uso del registro permette di monitorare gli utilizzi e distribuire correttamente i proventi superando il "problema", a seconda dei punti di vista, dell'infinita riproducibilità di un bene digitale, che affligge l'industria discografica dall'epoca di Napster. In geopolitica, il Venezuela annuncia nel 2018 il Petro, crittomoneta legata al petrolio, come moneta di crisi. Putin introduce la crittovaluta Russa dicendo: "l'età della pietra non è finita per carenza di pietre, ma perché è apparsa una nuova tecnologia".
L'innovazione non è la crittovaluta, ma la macchina della fiducia che la stampa e che ha anche altri utilizzi. Una tecnologia potente e non regolata, frutto della crittografia, che pare inevitabile e impiegherà del tempo per rivelare il suo potenziale mentre sposta il potere delle posizioni consolidate nell'ambito del Trust: banche, istituzioni centralizzate, assicurazioni, mercato. Le quali si adatteranno, permettendo scrutinio e trasparenza, auspicabilmente verso forme di convivenza più giuste, se non dovesse essere usata invece come strumento di controllo in modo repressivo. Nel finale, il regista si domanda se la Blockchain sia la panacea o una bella speranza e John Gilmore, fondatore della EFF, usa queste parole: "è un esperimento in corso, vedremo evoluzione e caos".