Black code (recensione documentario)

Apparso su il Manifesto del 14 giugno 2017.

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link esterno: articolo i frame della sorveglianza digitale su il Manifesto del 14 giugno 2017

Codice rosso come emergenza, codice nero come violenza. Il documentario Black Code, Canada 2016, inedito in Italia, viene al momento proiettato in paesi di lingua anglofona, la prima a New York avverrà il 14 giugno all'interno dello Human Rights Watch Film Festival. Black Code segue casi di censura con conseguenze mortali in diversi paesi, esplora il potere della rete mostrando come la sorveglianza digitale possa avere effetti distruttivi in particolare sui diritti civili e sugli attivisti.

I casi

Il documentario sia apre dal Bahnhof data center di Stoccolma, il primo fornitore d'accesso di Wikileaks e uno dei luoghi dove fisicamente risiede internet. Il fondatore racconta di come si sia opposto alla polizia svedese quando gli è stato chiesto di cedere i dati dei suoi clienti. Quando si è rifiutato la polizia è arrivata a minacciarlo di avere una diretta responsabilità nel caso fosse successo un attentato terroristico in Svezia. Il primo caso di censura è in Tibet, dove i monaci in esilio a Dharamsala tentano di aggirare l'apparato di controllo del governo cinese per trasmettere e ricevere informazioni sensibili, la repressione digitale si esprime con il social onnipresente wechat cui nessuno può fare a meno, un firewall restrittivo e l'uso di malware oltre che del manganello. In Pakistan viene raccontato il caso di Sabeen Mahmud, blogger attivista dei diritti umani la quale viene uccisa a colpi di pistola nel 2015 mentre ritorna dal dibattito da lei organizzato sul conflitto in Belucistan. Nei mesi precedenti era stata oggetto di violenti attacchi sui social network. In Etiopia il caso dell'attivista politico Tadesse Kersmo in esilio in UK, sorvegliato dal governo Etiope attraverso l'uso del captatore informatico Finfisher ci traghetta verso l'azienda Italiana Hacking Team la quale produce altri Sistemi di Controllo Remoti, chiamati Galileo e Da Vinci, in vendita a governi e istituzioni in tutto il mondo allo scopo di intercettare le comunicazioni private da computer o telefonini di chi viene considerato dissidente. In Siria il giornalista Wjd Dhnie racconta come sia stato arrestato e torturato in conseguenza di opinioni espresse attraverso Facebook.

Intervista a Nicholas de Pencier, regista

Black Code è diretto, fotografato e prodotto da Nicholas de Pencier e basato sul libro omonimo di Ronald Deibert, professore di Scienze Politiche e direttore del Citizen lab a Toronto che si occupa di monitorare l'impatto del controllo dell'informazione sui diritti umani. Intervistato, il regista ci racconta di come il documentario non abbia ancora una previsione di uscita in Italia ma sarà comunque fruibile attraverso i servizi di streaming, di come sia stato difficile adattare visivamente un libro che parla di internet e raccontarlo in maniera lineare visto come l'argomento è vasto e in rapida evoluzione. La soluzione è stata quella di usare uno stile visivo molto dinamico e un linguaggio cinematografico. "Ho deciso nel film di concentrarmi sulle persone che hanno vissuto in prima persone le conseguenze dell'oppressione digitale, in paesi dove queste dinamiche sono visibili e tangibili, ma queste dinamiche esistono ovunque e sono quasi più insidiose dove sono nascoste. Ho scelto di concentrarmi sul Sud globale perché esistono già film che tentano di investigare questi temi nel contesto delle democrazie occidentali e ho pensato di dare invece voce a persone che non l'avevano". Quando la rete diventa censoria accadono cose cattive. In Siria sembra peggio perché ci sono armi e torture, ma la tecnologia è la stessa che usiamo noi. È lo stesso Facebook, solo che in alcuni luoghi ne vedi le conseguenze brutali. È come un'anteprima di quello che avviene quando in una società si indeboliscono i diritti umani, ma la tecnologia è la stessa, dice John-Scott Railon, ricercatore del Citizen Lab.

Hackmeeting

L'attenzione al codice nero della rete è condivisa anche nel comunicato del ventesimo hackmeeting, che inizia il 15 giugno in Val Susa: -l'obiettivo è riportare la tecnologia sotto il controllo delle persone. La rete è diventata un immenso strumento di controllo e di consumo- Tra i seminari di hackmeeting uno è dedicato ai Trojan di Stato: verrà illustrato in forma pratica il funzionamento del captatore informatico Galileo, uno dei software di sorveglianza che nelle parti del mondo dove i diritti sono indeboliti, provoca morte.

Subveglianza

L'ultimo caso proposto dal documentario è quello di Midia Ninja, collettivo free media che riprende e manda in onda in diretta con telefonino le proteste in Brasile durante l'ultima coppa del mondo di calcio. Alcuni di loro vengono arrestati e in attesa di essere interrogati intervistano Bruno Teles, attivista accusato di aver scagliato una bomba molotov sulla polizia. Bruno chiede di trovare i video per discolparlo e quando l'intervista viene pubblicata online, arrivano in poche ore migliaia di video a mostrare come Bruno sia innocente. La bomba molotov è stata lanciata da una persona con una maglietta bianca arrotolata attorno alla faccia, il quale dopo essersela tolta si avvia verso la polizia mostrando un tesserino e dichiarando di essere un poliziotto. La tecnica di infiltrarsi tra gli attivisti durante una manifestazione per legittimare la violenza della polizia non è nuova. "Se i manifestanti lanciano esplosivi, per la popolazione la polizia può fare qualunque cosa necessaria per fermarli, anche al di fuori della legge". Nel documentario si dice anche che la miglior forma di protezione oggi è di trasmettere tutto in diretta video, in modo che invece che sur-veglianza, dall'alto, si abbia sub-veglianza, da parte della popolazione, dal basso. Per noi in Italia la memoria va al G8 di Genova del 2001, dove le tante riprese video non sono bastate a evitare le violenze e neppure a fare giustizia.

Concludono Black Code le parole del professor Deibert: "ho grande rispetto del termine hacking o hacktivist, non accettare la tecnologia come un falso valore, farsi domande, questionare l'autorità che in questo caso è l'ambiente tecnologico che ci circonda. Se vogliamo che una democrazia vera fiorisca, abbiamo bisogno che la gente cominci a togliere gli strati della tecnologia che li circonda per comprendere che sotto troverà l'esercizio del potere. Non bastano le soluzioni tecnologiche per difendersi, occorre anche che le autorità e le aziende siano rese responsabili per quello che fanno, che la legge non gli permetta di infrangere i diritti e la libertà della popolazione, questo è il fondamento di una democrazia digitale".