Intervista al regista di Diaz (don't clean up this blood) Daniele Vicari

Apparso su il Manifesto 8 giugno 2012.

Il film Diaz mette in scenza l'interruzione di democrazia avvenuta a Genova il 21 luglio 2001 durante il vertice G8 e racconta dell'irruzione notturna alla Scuola Diaz da parte del VI Reparto mobile della polizia di Stato. Furono selvaggiamente picchiate persone inermi e disarmate, e in seguito deportate e torturate negli spazi medici dell'ospedale di Bolzaneto. Dai racconti delle vittime è emerso un agghiacciante quadro di persecuzione ideologica, dove dei poliziotti rivendicavano il loro essere Fascisti cantando canzoncine nostalgiche, esibendole come suonerie telefoniche, obbligando i prigionieri contusi a rimanere in piedi faccia al muro e ad ammettere o negare di essere comunisti. Zecche, nel gergo neofascista. L'Italia è un Paese che rappresenta un'anomalia per i crimini commessi da individui appartenenti ai corpi di Polizia, i quali possano restare impuniti e spesso addirittura sconosciuti grazie all'anomimato garantito dall'assenza di un identificativo sulla divisa. Alla scuola Diaz furono fermati 93 attivisti, portati in ospedale 61 feriti, dei quali 3 in prognosi riservata e uno in coma. Finirono sotto accusa 125 poliziotti, compresi dirigenti e capisquadra, per quella che fu definita "una macelleria messicana" dal vicequestore Michelangelo Fournier il quale rappresenta nel film il poliziotto buono che interromperà a un certo punto quel massacro che è stato definito da Amnesty International "La più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la Seconda Guerra Mondiale". Diaz è un film necessario. Una fiction con qualche inserimento di immagini d'archivio che racconta senza giri di parole cosa avvenne quella notte, basandosi sui documenti d'archivio, sugli gli atti processuali. Diaz è anche un film per stranieri. Per chi in luglio 2001 non c'era o per chi non ha seguito la vicendo o per chi non l'ha mai capita. È a loro che il film è diretto e tanto chiaramente quando paradossalmente per una fiction, è un film che manterrà la memoria di quegli avvenimenti, nella speranza che non si ripetano. L'essersi attenuti agli atti processuali risponde alla domanda se le feroci scene di violenza e tortura siano veramente accadute o siano state romanzate nell'adattamento scenico. Sono accadute, sono fatti e il film Diaz aiuterà l'ingranaggio collettivo della memoria a non dimenticare le vittime. Diaz (don't clean up this blood) è stato presentato a New York all'interno del festival del nuovo cinema Italiano Open Roads 2012. Abbiamo incontrato il regista Daniele Vicari: di seguito la trascrizione dell'intervista.

Daniele Salvini, intervistatore:

"Il film si apre con una scena di distruzione di un bancomat da parte del gruppo Black Block. Qual'è la tua posizione nei confronti dei Black Block?"

Daniele Vicari, regista:

"i Black Block fanno parte del movimento. Il movimento è composto da diverse anime. Il nocciolo della questione non è che ci sia stata della violenza, il nocciolo è quale violenza. Dentro la scuola Diaz e a Bolzaneto è stata praticata una forma di violenza che è definibile anche come tortura. Solo il fatto che in Italia non esista il reato specifico di tortura, nel paese di cesare Beccaria, per cui questi uomini e donne in divisa non sono stati condannati per tortura, perche' non c'e' il reato. Lo dicono i giudici e i PM se ci fosse stato il reato sarebbero stati condannati per tortura. Infatti tutti reati contro la persona sono caduti tutti in prescrizione perche' si tratta di percosee, le percosse hanno una durata di 9 anni e poi vanno in prescrizione".

ds: La bottiglia: per me era il cappello dei fratelli Coen in Crocevia della morte..

dv: Si, ma era pure l'osso di 2001 in Odissea nello spazio.. Ma invece è una cosa che ho preso dal processo. Io ho cercato di mettere in scena gli elementi più suggestivi degli atti e quello della bottiglia è uno di questi, nasce dal fatto che questo pattuglione che è passato sotto la scuola diaz che poi ha creato l'incidente che ha permesso l'irruzione.. il comandante di questo pattuglione ha fatto un verbale dove c'era scritto che il pattuglione era stato fatto oggetto di un copioso lancio di oggetti contundenti e bottiglie. Sotto interrogatorio gli oggetti contundenti sono piano piano scomparsi, poi sono scomparse anche le numerose bottiglie, e il PM ha chiesto, scusi ma allora che cosa ha scritto su questo verbale? Quante erano le bottiglie? c'erano o non c'erano? Era una. E lei come fa a saperlo? perché quando siamo passati ho sentito alle mie spalle rompersi il vetro.. Quindi è talmente impalpabile questo accedimento che io l'ho voluto rappresentare in quella maniera lí, è una metafora molto scoperta. É una bottiglia, che poi come il battito della farfalla in occidente fa venire la tempesta in Cina.. è sempre una metafora che riguarda la fisica ma in questo caso riguarda gli esseri umani e questa "stupidaggine" cioé una bottiglia vuota che becca un marciapiede diventa la scusa, la motivazione per fare un'irruzione sanguinosissima oltre ogni limite del codice pensale.

ds: Sei partito dagli atti processuali: tutto quello che racconti vi è contenuto. una modalità giornalistica più che cinematografica.

dv: Si, quello era un punto d'onore. All'origine c'è l'inchiesta come facevano i cineasti del periodo del neorealismo. Poi il film è una commistione di vari genere, dall'horror, al thriller, al sociale, al film di geurra, al documentario.. è una commistione di vari generi perché è talmente sfaccettatata la realtà che io racconto che non può essere raccontata che attraverso vari punti di vista e diversi stili. Poi l'unità narrativa il film la trova, la trova e rimane molto compatto, ma questa compattezza molto forte della storia mi ha permesso di usare approcci narrativi diversi, dunque stili diversi.

ds: Le scene dei pestaggi sono lunghe e intense. Il meccanismo di identificazione nei personaggi fa sí che vedendole al cinema ti senti picchiato a tua volta..

dv: Io la sensazione che il pubblico non si identifichi nei personaggi, ma si identifichi nella storia, nella situazione, perché i personaggi sono evanescenti, sono tanti. È chiaro che in ciascuno di loro ognuno puó trovare un elemento che lo riguarda, peró il meccanismo di identificazione, se avviene, viene dal fatto che lo spettatore si sente parte dell'avvenimento. Sia se è contario ai mainfestanti o ai poliziotti, non fa differenza. Il film è pensato un pò come il mucchio selvaggio: è la storia di un massacro. Anche se a te non te ne frega niente di quel personaggio o di quell'altro, peró ci stai dentro perché senti che quella cosa lì è possibile. E tu lo senti possibile, credo, questo lo deve dire lo spettatore ma io ho fatto centinaia di incontri dunque ho imparato qualcosa.. Credo che quesa cosa accada perché un approccio insieme documentaristico, narrativo, da thriller psicologico, da film di guerra.. tutti questi approcci insieme ti tirano dentro la storia. Ti fanno sentire che quella cosa lì può essere effettivamente accaduta, e quando pensi questo pensi anche: mamma mia, ci potevo stare pure io là dentro. Questo è quello che è successo a me leggendo gli atti. Io leggendo gli atti del processo ho comiciato a pensare: ma questo qui potevo essere io, questo passava per la strada e stava andando al cesso.. in un bar.. l'hanno pescato e l'hanno portato a Bolzaneto. Sono io. Oppure il vecchio militante può essere mio zio, oppure quella ragazza lì può essere mia figlia, il giornalista puoi essere tu.. In questo senso c'è stato un salto di qualità nelle cose avvenute a Bolzaneto e alla Diaz. Il salto di qualità è dovuto alla modalità con cui queste persone sono state trucidate. È il modo. Quindi io non potevo sfuggire da queste cose, leggendo gli atti quello che ho capito era il modo, è l'atteggiamento. Fatto con disprezzo. una mancanza assoluta di quella che i cattolici chiamano Compassione. Compassione significa "patire con" quindi anche se io ti picchio, a un certo punto mi identifico in te perché ti sto facendo male e quindi mi fermo se non è necessario andare oltre. E qui non c'é stato questo limite.

ds: e sappiamo anche perché, l'identificazione del "nemico" aveva un background politico sul quale si basava..

dv: anche..

ds: Cosa che tu hai ricordato con l'olio di ricino alla fine della scena della tortura in ospedale, anche se l'avranno colto in pochi che quello fosse olio di ricino.. la reificazione del "nemico" percepito solo come un avversario politico..

dv: Beh, ha tutto l'aspetto di esserlo anche se magari è un antidolorifico.. La canzoncina "manganello manganello." racconta in maniera molto chiara che cos'è quella ideologia.. Più di quando avrebbe fatto "Faccetta nera". Faccetta nera significa qualcosa per noi che siamo Italiani, ma per un Francese o un Tedesco non significa niente..

ds: hai voluto raccontarlo a un pubblico straniero..

dv: Quella canzone è stata raccontata dalla ragazza, lei ricorda solo il ritornello: manganello manganello.. Io quella canzone non la conoscevo.. l'ho presa dagli atti processuali, quella filastrocca è stata scritta da un riminese negli anni 30, è un inno al manganello.

ds: Allora era olio di ricino?

dv: Mah, ci pensi che lo sia, in realtà era un antidolorifico, ma lei racconta di averlo bevuto e basta, non aveva scelta, poteva essere qualunque cosa, acqua o olio di ricino. Per me è stato importante raccontare la perdita di controllo rispetto alla situazione, il fatto non sono sicuro di poter sopravvivere, il fatto che queste persone, oltre i colpi che hanno ricevuto abbiano vissuto costantemente la paura di essere uccise ha fatto sí che ancora oggi siano sotto cura, perché la paura di morire è rimasta dentro di loro. Durante la proiezione a Seattle ho avuto una sorpresa, in sala c'era il padre di una ragazza Americana che era alla Diaz e lui m'ha raccontato la storia di sua figlia e mi ha confermato tutte queste cose quello che hanno vissuto alla Diaz e a Bolzaneto: la sensazione di non uscirne vivi.

ds: Chi era il dottor Carnera?

dv: Arnaldo La Barbera. Il quale è morto nel 2002. É stato mandato dal capo della polizia, questo lo racconta sempre Ansoino Andreassi, vice capo vicario della polizia, che La Barbera è stato mandato dal capo della polizia per sostituire Ansoino Andreassi proprio il sabato pomeriggio, cioé qualche ora prima dell'irruzione alla Diaz. È arrivato coll'aereo e ha preso in mano la situazione.