l'Artigiano rinasce digitale

Apparso su Nòva, inserto del quotidiano Sole 24 Ore, il 25 settembre 2011.

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Nella New York Hall of Science i nuovi artigiani digitali di ogni età si muovono in un'atmosfera divertita e rilassata. I bambini saltano da uno stand all'altro: ora per costruire una casetta con i pezzi di legno sfornati da una sega elettrica a controllo numerico, ora per seguire il corso di robotica con i genitori o in fila per un giro sull'altalena meccanica che ruota anche su se stessa. Molto frequentata è anche la lezione di riciclo materiali con carta e forbice, le sessioni di saldatura di base e la gara di automobiline radiocomandate costruite con stampe 3D. Gli adulti valutano l'acquisto di una stampante 3D, ce ne sono di tutte le forme, modelli e costi: dai 400 ai 3.500 dollari. Capaci di realizzare oggetti di piccole dimensioni con un rivolo di plastica calda. Le stampanti 3D si auto-costruiscono e una viene ricavata dalle stampe di una sua identica collega. Siamo alla Maker Faire, la fiera del Do It Yourself (DIY) organizzata lo scorso weekend dalla rivista «Make» per celebrare arte, artigianato, ingegneria e progetti scientifici. La seconda edizione ha superato il successo della prima: al prezzo di ingresso di 28 dollari, 10mila persone si sono accalcate per due giorni nei padiglioni e all'esterno della New York Hall of Science. Il DIY è l'atto di costruire, modificare o riparare qualcosa senza l'aiuto di esperti professionisti. Ma dimenticate il "Fai da te" di chi si limitava a costruire motori a scoppio e a intagliare il legno. Oggi si lavora con pc, robot e stampanti 3D.

È il rinascimento dell'artigianato digitale, vengono prodotti dei materiali che possono essere la base per altre costruzioni. «Tutto questo è possibile quando l'hardware è aperto, dice Massimo Banzi, co-fondatore di Arduino, il microcontrollore presente nella quasi totalità dei prodotti presentati alla Fiera. Arduino rappresenta una tecnologia abilitante e potrebbe cambiare molte cose. A giudicare dall'entusiastica accoglienza ricevuta dai maker americani si direbbe proprio che sia così. È imprevedibile il modo in cui la gente utilizza la tecnologia, bisogna costruire pezzi aperti, interscambiabili, in modo da favorire la flessibilità. L'hardware open source, di cui Arduino rappresenta l'esempio più utilizzato, è composto da materiali i cui disegni sono pubblicamente disponibili per lo studio, modificabili e realizzabili da chiunque. Questo massimizza la possibilità per gli individui di fare e usare l'hardware, condividendo la conoscenza.

Basta girare tra i padiglioni per farsi un'idea. Ci sono microfoni amplificatori a contatto che creano un segnale audio dalle vibrazioni, ottimi per musicisti sperimentatori. C'è uno scanner meccanico in grado di produrre 200 pagine l'ora senza rovinare i libri e di inviare automaticamente la scansione ad archive.org. O un collare per geolocalizzare gli spostamenti dei leoni via Gps e un elicotterino radiocomandato per trasportare medicine da un villaggio all'altro in Africa. In uno stand otto piccole bambole telecomandate via Wifi danzano all'unisono ma si fermano di colpo. La ragazza alla console esamina il braccino di una delle bambole, conclude che qualcosa si è rotto e domanda ad alta voce: «Bisogna riprogrammarle! Chi vuole farlo?». Si fanno avanti due bimbi di 6-8 anni che si precipitano al mini-pc collegato alla struttura. Sono cose che ti riconciliano con l'idea di un futuro non distopico. La rivista quadrimestrale Make pubblica howto riguardanti elettronica, robotica, lavori in legno e metallo. È dedicata al DIY e al DIWO (Do It With Others, Fallo con altri) e viene pubblicata dal 2005 da O'Reilly Media, che pubblica anche manuali di argomento informatico.

«Prevediamo per il futuro più gente coinvolta, commenta Sherry Huss, direttrice e maker in chief di Make Magazine, il fenomeno del DIWO si sta allargando, da una parte perché è cool fare o usare oggetti costruiti a mano, dall'altra perché è significativo dal punto di vista culturale». È un momento di crisi e chi ha perso il lavoro scopre il Fai da te come un'alternativa per guadagnarsi da vivere. Per i bambini è un'opportunità. Infine c'è l'aspetto della community, che aggrega le persone attorno a qualcosa che li appassiona, permette di intrecciare relazioni e fare nuove connessioni. Se una volta il Fai da te era soprattutto il piacere di fare le cose da soli, oggi si parla di fare le cose assieme. «Questi tre aspetti, culturale, economico e comunitario, sottolinea Huss, mi fanno pensare che vedremo sempre più maker in futuro mettere assieme la loro passione e le loro capacità».

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